Possiamo considerare Michele Canova come un gigante della musica italiana. Partito dalla sua Padova, arriva a produrre, a partire dal 2000, gran parte dei successi italiani. Il suo CV vanta nomi da capogiro: Tiziano Ferro, Jovanotti, Giorgia, Biagio Antonacci, solo per citarne alcuni. Ma anche Fabri Fibra, Fedez, Elodie e Dark Polo Gang, per rimanere in ambito urban. Insomma, un autentico Re Mida del pop.
Lo incontro qualche ora prima del suo volo di rientro per Los Angeles, dove vive e lavora da ormai oltre 10 anni, per farmi raccontare quello che è un po’ il secondo tempo della sua carriera. Durante la pandemia, infatti, Canova si è riscoperto in un inedito ruolo da protagonista, sia chiamando a sè diversi artisti per firmare questa volta dei suoi brani, Nayt per Sorpresa e Rosa Chemical e Gianna Nannini per Benedetto l’Inferno, sia provando a coltivare giovani e promettenti talenti fornendo loro un bagaglio tecnico, di esperienze e conoscenze che nessun altro può vantare.
Michele mi accoglie nel suo studio di Milano e, tra riconoscimenti, dischi multiplatino appesi e una control room piena di hardware e lucine di controllo, cominciamo la nostra più che piacevole chiacchierata.
Eccola riportata.
Prima di iniziare:
Perchè era questo il momento giusto per avviare un tuo progetto personale?
Non lo so se fosse proprio questo il momento giusto. La verità è che il Covid ha veramente cambiato tutto. Mi ha fatto portare un po’ più alla scoperta di un lato più pubblico del quale prima non sentivo l’esigenza. Tutto appunto è partito durante la pandemia con delle live su Instagram dove cercavo di rimanere sul tecnico ma di spiegare alla gente cos’era la professione del produttore e di ridare indietro alle persone le cose che avevo imparato in 30 anni, anche grazie alle dirette su Twitch dove apro le sessioni dei brani traccia per traccia e al CanovAscolta in cui faccio una specie di Virtual A&R dove ascolto le canzoni e cerco di dare un mio giudizio sempre tecnico.
Questa cosa mi è piaciuta e mi ha fatto capire che c’è anche un lato oltre la produzione e l’arrangiamento, un lavoro di studio che mi sarebbe piaciuto interpretare. Per questo ho aperto Canova Records, la mia label distribuita con Universal con cui ho firmato diversi artisti.
Poi è stato naturalmente il successivo passaggio quello di provare a mettere insieme tutto il lavoro che ho sempre fatto, quindi quello di seguire una canzone dall’inizio alla fine (proprio dalla chitarra e voce dell’artista fino alla produzione e addirittura al mastering) e farlo per un mio progetto solista. E quindi scegliere gli artisti con cui collaborare, scrivere la canzone insieme e portarla a termine.
Anni fa invece, quando firmavi tanti successi con artisti italiani più classici, avrebbe avuto lo stesso senso questo progetto?
Forse no. In effetti se pensi all’origine della figura del “produttore” vero e proprio in passato, forse solo Brian Eno tra gli anni ’70 e ’80 poteva essere definito tale. Tra l’altro lui fece il suo primo disco manifesto perchè fece un incidente stradale, la sai la storia?
No, quale?
Praticamente lui si ritrova sul letto di ospedale e, impossibilitato ad andare in studio a produrre altre persone, comincia ad ascoltare musica a volumi molto bassi, pensata per fare da sfondo all’ambiente. Non a caso il suo Ambient 1: Music for Airports del 1978 è considerato l’inizio della musica Ambient.
In effetti la figura del produttore che diventa artista è una cosa più recente. Da quando diciamo che la produzione è diventata una cosa più importante, anche grazie allo streaming, nel senso che l’impronta che il produttore dà al suono è fondamentale per tenere l’ascoltatore attaccato alla canzone e non farlo deconcentrare.
Con la radio c’era un tipo di suono e un tipo di stesura della canzone che andavano rispettati per catturare l’ascoltatore, mentre ora il ruolo del produttore si è “sganciato” dall’artista.
Michele Canova, intervista presso il Kaneepa Studio di Milano
Poi c’è da considerare che gli artisti passano molto più velocemente produttori, mentre una volta era il contrario. Per l’artista è più difficile centrare singolo dopo singolo i successi, a causa dell’algoritmo di Spotify.
Per il produttore, che invece ha la fortuna di lavorare con 15-20 artisti ogni anno, è più facile far circolare il proprio nome, proprio per questa teoria delle probabilità. Per agganciarmi alla prima domanda sì, da 5-6 anni è il momento giusto per tutti i produttori.
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Il tuo nome è tornato ad affacciarsi al nostro mondo anche grazie alle produzioni contenute in Trap Lovers della Dark Polo Gang. Lavorare con loro e più recentemente con Nayt e Rosa Chemical in cosa è stato diverso rispetto all’approccio con un interprete più classico? Dov’è stata la vera sfida?
Devo dirti che abitando a Los Angeles mi è sembrata veramente una naturale prosecuzione di ciò che faccio già lì. La nuova scena italiana lavora come lavoro io ormai da 10 anni a LA. Sessioni molto brevi, che partono da mezzogiorno e arrivano alle 6, in cui si cerca di scrivere una canzone e fare il beat in quelle 6 ore. Si cerca di catturare una vibrazione, che deve nascere con l’energia della stanza.
Mi ha fatto molto piacere tornare in Italia dopo il periodo Covid, perchè ho trovato degli artisti giovani validi (non solo Nayt e Rosa Chemical) con i quali mi sto divertendo parecchio. Cosa che magari succedeva di meno in passato, semplicemente perchè una volta i tempi in studio erano dilatati. Capisci che se stai 6 mesi in studio con una persona un certo tipo di eccitazione smette. Oggi sto un giorno con uno e un giorno con un altro, è molto più stimolante. C’è sempre un’avventura nuova.
Sempre collegandomi al processo di produzione, saprai bene come in USA le hit siano spesso frutto di un team di produttori. Da producer più adulto ed esperto, tu come vedi personalmente la condivisione in questo senso? Ti vedi a collaborare con altri musicisti, ad esempio?
Non mi è mai capitato di ritrovarmi con tanti produttori nella stessa stanza. Mi è capitato di recente però di collaborare con qualcuno. Ad esempio DNA di Ghali ha 4 brani prodotti da me dove poi MACE ha fatto una specie di rifinitura. Con lui ci sentivamo già da un po’ e lo rispetto molto per quello che fa, mi piace proprio nella sua selezione sonora.
Anche con Ceri è capitato recentemente di lavorare per Limbo di Claudym. Lì io ho fatto più la produzione in senso tecnico, lui ha suonato il basso e poi insieme abbiamo deciso l’atmosfera del brano. Mi sono trovato benissimo.
Secondo me è il momento di lavorare di team. Io ho lavorato da solo per 20 anni, e non dico che mi annoio perchè mi piace stare e produrre da solo, però è bello condividere le idee, scambiarsi le tecniche e imparare da altre persone. Ad esempio, io imparo spesso dai giovani e da chi mi incuriosisce. Può essere anche un assistente di studio che lavora su un programma che non conosco bene, cerco sempre di farmi spiegare e arricchire le mie tecniche.
Dall’America ho imparato il fatto di aprire la mente, di condividere le conoscenze e soprattutto di assorbire il più possibile da tutte le persone intorno a te. Questo concetto sembra semplice, in realtà bisogna sempre avere il cervello aperto, cosa che spesso non hai perchè sei troppo concentrato a chiudere un pezzo e fai fatica a dare ascolto agli altri. Si tratta di un esercizio di grande calma e di knowledge, ma mi rendo conto che è uno step che arriva più avanti negli anni. Ora mi sento pronto ad accogliere qualsiasi consiglio, che prendo sempre in maniera costruttiva, visualizzo sempre l’importanza di imparare qualcosa da qualcun altro.
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A proposito di imparare qualcosa da qualcun altro, all’inizio hai citato le tue live dove, con l’analisi delle session e il CanovAscolta, mostri il lavoro che è stato fatto su un brano e ascolti e dai consigli agli emergenti. A questo punto hai mai pensato di organizzare delle masterclass?
Lo abbiamo pensato, io e Pino “Pinaxa” Pischetola. Ci piacerebbe farlo ad alto livello ovviamente, perchè secondo noi va catturato tutto nella maniera più professionale possibile. Non siamo in una fase attiva di organizzazione ma ci piacerebbe farlo.
E cosa ti arriva nelle tue sessioni di, come le chiamavi prima, Virtual A&R?
La verità è che la maggior parte secondo me non sono a livello, si capisce forse anche dalle dirette dove molte volte sono anch’io molto diretto nel specificarlo. In tutto questo però ho firmato così 2 artisti per Canova Records. Certo, se pensi che ne avrò fatte circa 60 in cui avrò ascoltato qualcosa come 1000 brani non è tanto, però due artisti sono stati firmati in questo modo. Uno di loro è un ragazzo giovanissimo che si chiama chaze, che è appena uscito con un brano che si chiama Posso Stare Senza.
Un altro esempio è NICOL, uscita da Amici. Lei ha voluto farsi inizialmente sentire da me e successivamente è stata notata da Maria De Filippi, la quale poi mi ha chiamato raccontandomi il fatto. Pazzesco come ci siano poche occasioni di farsi ascoltare (al di là di quelle mainstream come Amici e X-Factor) e io ne abbia sentiti tanti che poi ho piacevolmente trovato da altre parti. Mi fa molto piacere.
Nonostante tu sia molto sul pezzo e attento a 360 gradi, non percepisco volontà di riproporre un trend o una certà sonorita in voga o in via di sviluppo. E Benedetto L’Inferno nè è un esempio…
Beh, Benedetto L’Inferno è una follia che nasce facendo ascoltare a Gianna Nannini, quasi per provocarla, Polka di Rosa Chemical. Inaspettatamente, invece di rimanere scandalizzata dal video, lo apprezza molto. Li ho fatti incontrare in studio ed è nato tutto in 4 ore.
Da una parte avevo uno che mi chiede di rifare The Beautiful People di Marilyn Manson (Rosa), l’altra che voleva semplicemente gridare “sia benedetto l’inferno!“(Gianna). Quindi si cattura quell’energia che è un mix di rock e di un beat che stavo producendo mentre li aspettavo. Perciò è vero: non segue un trend ma perchè sono due artisti che non li seguono.
E quindi questa la chiave per la longevità di un producer?
La chiave secondo me è ascoltare tantissima musica e avere tantissima conoscenza tecnica. Io l’ho dovuto fare, e non mi vanto di questo, perchè non esisteva internet. Io dovevo leggermi manuali infiniti di software e hardware e mi sono trovato a dover imparare tutto, dalla registrazione di tutti gli strumenti e della voce al saper produrre, scrivere, arrangiare e mixare una canzone.
L’essere completi ti dà quella longevità, perchè ti puoi continuamente reinventare. Io dico sempre che il giorno che mi stufo di stare a contatto con gli artisti potrei anche solo rimanere un fonico e mixare.
Sui tuoi social infatti ti definisci Music Scientist. Ma oggi ti vedi più produttore, sound engineer, discografico o che altro?
Ad oggi più produttore e songwriter. Mi piace ancora tanto mettere le mani in prima persona, però in futuro mi vedo come una figura che dispensa consigli. Mi sto già muovendo in questa senso in realtà, avendo un team di 10 persone tra autori, artisti e produttori.
E poi devo anche calcolare che ho una famiglia. Fino ai 35-40 anni lavoravo tutti i giorni, tutto il giorno. Praticamente le poche fidanzate che ho avuto scappavano subito! (ride, ndr)
Sulla nostra pagina Instagram abbiamo una rubrica chiamata Setup, dove mostriamo ai lettori le strumentazioni che utilizzano alcuni producer italiani…
Avendo uno studio a Milano e uno a Los Angeles con me però dovresti fare qualcosa come 12 puntate per elencare tutto… (ride,ndr)
…effettivamente hai ragione. Allora facciamo così: dacci tu un paio di plugins/tool/hardware/quellochevuoi che usi. Chiamiamolo CanovA Can’t Live Without.
Questa è bella! Entrando quindi nel tecnico, in fase di registrazione non posso fare a meno dei miei 3 microfoni Telefunken, che sono appunto divisa tra LA e MI. In particolare possiedo il C-12, l’U-47 e l’ELA M 251. Sono microfoni di altissimo livello e sono esattamente la copia di come venivano fatti negli anni ’50.
Sempre in fase di registrazione, non riuscirei a stare senza il mio Shadow Hills Mastering Compressor, un compressore dove la parte ottica è eccezionale nel catturare i picchi della voce e nel rendere tutto molto più semplice.
In fase di produzione, invece, non riuscirei a stare senza i miei diversi MPC sparsi per il mondo. Ho un Akai MPC Live qui a Milano, mentre a Los Angeles ho un MPC One e un rifacimento di un SP1200 di E-MU fatto da una ditta che si chiama ISLA. A proposito, ti posso anticipare che il prossimo acquisto che farò è un rifacimento dell’SP1200, a cura proprio di Dave Rossum (colui che ha creato tutti i campionatori di E-MU).
Ecco, nel beatmaking la componente hardware mi piace ancora molto.
A livello software utilizzo Pro Tools. Come plugin ti posso citare Serum di Steve Duda (un famoso dj molto amico di Deadmau5, al quale è stato molto vicino proprio in fase di apprendimento delle tecniche di composizione). Consiglio Serum a tutti in quanto, essendo basato sulle wavetable, ci si può fare qualsiasi cosa. La facilità di mappare i controlli e di esporre tutto in un’unica pagina ha fatto sì che la modulazione sia facilmente collegabile ad un knob.
Questo ha cambiato molte cose, se pensiamo c’è stato un punto nella musica elettronica dove la modulazione è diventata più importante della sorgente. Per tanti anni l’oscillatore è stato la cosa più importante, perchè in un software non si poteva emulare un determinato suono così bene. Serum è stato uno dei primi VST che ha dato la possibilità di poter controllare a tempo gli LFO in maniera precisissima.
Abbiamo parlato di condivisione, di conoscenza, di novità e di consigli. Per chiudere mi viene quasi spontaneo chiederti: ma che stai ascoltando in questo periodo? Hai anche tu delle reference da cui prendi spunto?
Oddio, dovrei aprire la mia playlist su Spotify perchè ne ho così tanti che non me li ricordo così al volo.
Come vedi è molto varia e inserisco veramente di tutto. Per citarti quello che mi fa impazzire c’è l’ultima di Charlie Puth, Light Switch.
Ultimamente sto ascoltando a ripetizione FKA twigs, così come Oliver Tree.
In generale poi tutto ciò che fa ACRAZE (e questo sì che è un nome inaspettato, ndr) mi piace molto.
Mi è sempre piaciuto anche Joji, mentre di Halsey ho adorato l’ultimo disco (il fatto che sia prodotto da Trent Reznor e Atticuss Ross dei Nine Inch Nails è pazzesco).
In mezzo c’è anche ZHU, ci sono gli Psicologi, c’è Ed Sheeran e tanto altro.
Ah, chiudo con Arca, che però non credo sia molto compatibile con l’Italia. Potrebbe però essere una roba apprezzata da Mahmood, chissà.
Conclusioni
Personalmente l’incontro con Canova mi ha lasciato tanto, spero lo abbia fatto anche un po’ con te se sei arrivato fino alla fine e hai apprezzato.
Per la prima volta ho conosciuto più da vicino un professionista assoluto, che, nonostante i successi e i riconoscimenti, ha ancora tanta voglia di imparare e mettere le sue conoscenze al servizio di nuovi artisti. E lo fa sempre con un occhio attento al presente, pur avendo una cultura tecnica, musicale e discografica invidiabile.
Non vediamo l’ora di ascoltare tanta nuova musica firmata CanovA e seguirlo in questo suo nuovo percorso al fianco dei futuri artisti italiani.